L’ho “preso” mentre stava facendo le valigie. “Ci stiamo spostando da Missoula a New Iberia, come facciamo ogni anno”, è il suo commento. Valigie e nipoti, cavalli e ranch, famiglia e libri da scrivere: questa è la vita di James Lee Burke. Intervistarlo è una cosa divertente e illuminante al tempo stesso. Divertente perché è un concentrato di risposte brevi ma esaurienti, dette con tutta la semplicità di questo mondo. Illuminante perché Jim apre lo sguardo su un mondo insolito per uno scrittore, un mondo umano-molto umano. L’intervista è lunga. Ho deciso di “spezzarla in due o forse anche in tre”, così si legge meglio. Buona lettura.

WALTER GATTI – Buon giorno Jim. Dimmi una cosa, tanto per iniziare: hai mai avuto dubbi sulla tua vocazione di essere uno scrittore?
JAMES LEE BURKE – Ti dirò un cosa, Walter, per tutta la mia vita ho solo desiderato essere uno scrittore e nient’altro. Così ora sono completamente felice per l’opportunità che ho avuto di realizzare quel desiderio. E vivo in un posto che mi aiuta a farlo con serenità
 WG – Nei tuoi libri i “luoghi” hanno un’importanza particolare, non sono solo “il palcoscenico”…
JLB – Credo di utilizzare i luoghi, gli ambienti, le situazioni come protagoniste delle mie storie, non solo come apparato scenografico. Fortunatamente ho vissuto in molti luoghi interessanti, luoghi come il Texas, New Orleans, i bayou, l’interno della Louisiana, l’Arizona, che penso i lettori possano apprezzare.  
WG – Hai dedicato ai giorni dell’uragano su New Orleans uno dei tuoi ultimi racconti. Cosa rimane ora di Katrina?
JLB – Credo che Katrina rimarrà per sempre uno dei peggiori scandali della nostra storia nazionale. Non farmi aggiungere altro…. 

WG – Mi descrivi il tuo metodo di lavoro e di scrittura?
JLB – Scrivo ogni giorno, non ho mai un giorno vuoto o di vacanza completa. Scrivo nel bel mezzo della notte, alla mattina e nel pomeriggio. Mi sforzo di raggiungere le mille parole al giorno, ma sono soddisfatto se ne stendo 750 di qualità. 

WG – Ti piace entrare in contatto con i tuoi lettori? Che tipo di rapporto hai con i critici?
JLB – Non sono un uomo che vive isolato al mondo e nemmeno una persona che vive per i riflettori. Apprezzo avere un contatto diretto con i miei lettori, sono persone intelligenti. Uno scrittore ha sempre una relazione speciale con i suoi lettori. Mi chiedi poi del mio rapporto con i critici: lo giudico soddisfacente. Direi che è sempre stato buono (si mette a ridere), con alcune eccezioni… 

WG – Dovendo inquadrare la tua opera nello scenario più complessivo della letteratura americana, mi viene da associarti a Flannery O’Connor e a Faulkner. Questi autori ti hanno influenzato?
JLB: Assolutamente sì. Come scrittore devo dire L’urlo e il furore mi ha influenzato con il suo stile più di ogni altro libro. Non vorrei dimenticare poi un’altra grande autrice, Willa Cather… 

WG – Tu e tua moglie Pearl vivete insieme come una coppia tenace. Quanto è stata importante lei per il tuo lavoro?
JLB –  Nel prossimo gennaio io e Pearl festeggeremo I 48 anni di matrimonio. Lei è rimasta il mio editore, il mio migliore amico e il mio co-pilota attraverso tutti questi anni. 

WG – Vivete nel Montana da tanti anni ormai. Come vi trovate a Missoula?
JLB – Il Montana è il luogo della terra più vicino al paradiso… 

WG – Nostalgia della Louisiana?
JLB – Si, un po’ si, ma ci ritorniamo per una certa parte dell’anno. Amo quella terra, ma oggi la Louisiana sta vivendo un terribile stress culturale, economico e ambientale.

………………….. END PART 1

  Nel numero del Buscadero di ottobre c’è una bellissima intervista a James Lee Burke. Opera di Marco Denti e Mauro Zambellini. E’ uscita con il titolo di Louisiana Rain. La pubblichiamo ringraziando Marco, Mauro e Paolo Caru (editore del Buscadero) per la disponibilità.

Le storie di James Lee Burke sono come il buon vecchio rock’n’roll: sai come funziona, ma non sai mai come andra’ a finire. Tutto e’ cominciato con “Pioggia al neon” che inaugurava, giusto vent’anni fa, la saga di Dave Robicheaux, uno dei nostri loser preferiti, un personaggio che guarda dalla Louisiana un mondo in rovina, ma con l’attitudine e un disincanto che non e’ disillusione. Come direbbe uno dei suoi (e nostri) scrittori preferiti, Hemingway: e’ un mondo di merda, ma e’ l’unico che abbiamo. Dave Robicheaux lotta cosi’, senza sosta, spesso oltre i confini del suo mandato e della sua morale e non lo fa con l’alone del giustiziere, del crociato o del vendicatore ma soltanto perche’ non ha alternativa. O combatte, o soccombe alla corruzione, all’ipocrisia, alla falsita’, in definitiva all’inquinamento della vita come della natura, che poi sono la stessa cosa. Abbiamo imparato a conoscere le sue gesta sotto la “Pioggia al neon”, e poi in “Sunset Limited”, “La ballata di Jolie Blon”, “Ultima corsa per Elysian Fields” e “Ti ricordi di Ida Durbin?” (tutti tradotti e e pubblicati in Italia da Meridiano Zero) riconoscendo in Dave Robicheaux uno di noi e in James Lee Burke un grande storyteller che magari non trovera’ mai quattro righe nelle enciclopedie di letteratura e ancora meno un posto all’accademia. Forse e’ meglio cosi’: nonostante l’odore salmastro delle paludi, i serpenti mocassini, le “muddy waters”, i fantasmi e gli spiriti, l’aria del bayou resta sempre la piu’ pulita.

“Pioggia al neon” e’ stato il primo romanzo della saga di Dave Robicheaux. In prospettiva, guardando a ritroso tutti gli episodi, che impressione ti fa? Cosa provi per Dave Robicheaux, dopo vent’anni?

Credo che Dave Robicheaux sia cresciuto come personaggio. Ogni romanzo e’ stato inteso per essere una storia indipendente, ognuno di loro legato ad un differente contesto sociale e politico. In effetti, per rispondervi, credo che Dave sia piu’ che altro un testimone di molti dei piu’ importanti eventi della nostra epoca.

Ti identifichi ancora in lui?

Si’, direi di si’, in un certo senso. Usando la prima persona e’ piu’ facile sentire la voce dentro di te: il personaggio e’ sempre dentro l’autore, credo. La sfida non e’ lasciar dominare la storia dall’ego del personaggio, ma creare dei personaggi che possano entrare senza problemi nella casa dei lettori.

Uno dei motivi per cui i tuoi romanzi ci sono cosi’ famigliari e’ che fin da “Pioggia al neon”, ma poi in ognuna delle storie di Dave Robicheaux, la musica e’ sempre stata un elemento fondamentale nei tuoi romanzi.

Si’, assolutamente, la musica e’ al centro di qualsiasi cosa io scriva. L’italiano e’ probabilmente il linguaggio piu’ musicale dell’intera famiglia umana, ma l’inglese cade dentro un beat naturale che in un certo senso e’ musicale quanto l’italiano. In piu’ il blues e il jazz e il rock ‘n’ roll sono le piu’ nitide forme d’arte americane e penso che ogni buon scrittore americano ad un certo punto prova ad incorporare queste tradizioni nel suo lavoro. Quando lo faccio penso sempre alla Carter Family, a Woody Guthrie, a Leadbelly, a Kid Orey e a Benny Goodman che credo siano i musicisti piu’ importanti nella nostra cultura.

La connessione con la musica e’ ancora piu’ particolareggiata perche’ la Louisiana e’ un territorio dove la musica ha un ruolo storico fondamentale e cio’ diventa evidente nei tuoi romanzi. Dal tuo punto di vista, e’ perche’ non si puo’ separare la musica dalla Louisiana, e viceversa?

Si’, nella mia testa musica e Louisiana sono sinonimi. La Louisiana ci ha dato i migliori musicisti di jazz e di rhythm and blues, la tradizione afroamericana comincia e finisce qui. Come dicevano Danny and the Juniors molto tempo fa: “We don’t care what people say, rock’n’roll is here to stay”.

Volendo essere piu’ precisi?

Uhm, direi che semplicemente chi scrive dell’America blue-collar o del Southeast dovrebbe necessariamente scrivere della musica della gente, anche perche’ molti dei miti americani vengono proprio da qui. Un antropologo, credo nel 1958 o 1959, disse che gli americani erano rimasti affascinati da Elvis perche’ aveva tutte le caratteristiche di un dio greco. Era un personaggio mitico, ma nello stesso tempo rappresentava tutto il mistero del Sud. Era un ragazzo da Tupelo, Mississippi e la sua storia ha riempito i sogni di ogni persona della working class in questo paese, ma nello stesso tempo e’ finita tragicamente. La sua vita, ma anche quella di Carl Perkins, Roy Orbison o Jerry Lee Lewis sono icone culturali americane, riempite di musica, e religione, e poverta’ e disperazione.

Tra le citazioni che spiccano, bisogna ricordare almeno “The Things That I Used To Do” di Guitar Slim in “La ballata di Jolie Blon”.

Il blues, per la gente di colore, significa un assoluto e irrisolto senso di perdita. Molti vecchi bluesmen che ho conosciuto credevano che il blues fosse la musica del diavolo perche’ aveva a che fare con il mondo dei juke joints, delle droghe, della prostituzione. Per quella ragione, qualcuno di loro, dopo aver scoperto la religione, non ha voluto cantare piu’ il blues. Non sono assolutamente d’accordo con le loro conclusioni teologiche sul blues, ma capisco il terribile legame che li turba. Il miglior esempio, non c’e’ dubbio, e’ Robert Johnson.

Spiriti e fantasmi non sono un’eccezione nei tuoi romanzi. Perche’?

Credo che questo mondo sia un’estensione di un mondo che non vediamo. La mia idea della creazione e’ la stessa di Emerson o Plotino, credo. Siamo sempre dentro l’eternita’, solo che non l’abbiamo ancora capito.

E’ anche un legame con gli elementi naturali, in fondo, a cui dedichi molto spazio.

Come scrittore, sono stato influenzato pesantemente dai naturalisti, di conseguenza il paesaggio, spesso e volentieri, e’ quasi il protagonista delle mie storie. D’altro canto penso che stiamo distruggendo la terra. Sfortunatamente questo paese e’ controllato dai leader dell’industria petrolchimica e fino a quando non cambiaremo il nostro modo di vivere, qui come in Cina o in India, la situazione puo’ solo peggiorare.

Non dobbiamo andare molto lontano per trovare una conferma alle tue parole. Katrina ha cambiato la faccia e la vita di New Orleans. E’ ancora possibile raccontare un noir dopo quello che e’ successo o la corruzione contro cui combatteva Dave Robicheaux e’ nulla rispetto al noir del disastro?

Direi che e’ ancora piu’ necessario. Il mio nuovo romanzo, “The Tin Roof Blowdown”, e’ legato agli eventi di Katrina e tutto cio’ che ne e’ seguito. Spero che sia un ritratto accurato degli eventi che si sono susseguiti a New Orleans in quel periodo perche’ la vicenda di Katrina rimane forse il peggior scandalo nella storia del nostro paese. Quello che e’ successo ha mostrato un livello di cinismo e di indifferenza che probabimente sara’ una fonte inesauribile di disgusto per il resto della nostra storia.

Questo ricorda un po’ Dave Robicheaux che spesso sembra combattere una guerra che non potra’ mai vincere e mantiene un’attitudine tra malinconia e indifferenza perche’, alla fine, sembra che non cambi mai nulla, che la stessa gente continui a comandare, spesso in modo stupido e arrogante. E’ lo stesso feeling che aveve provato durante i due mandati dell’amministrazione Bush?

Quello che prova Dave e’ che la battaglia non e’ mai finita, il terreno non sara’ mai nostro e l’era Bush e’ uno di quei momenti in cui non si riesce a vivere con dignita’. Siamo stati terribilmente sminuiti agli occhi del mondo e, quello che e’ peggio, abbiamo perso la visione di noi stessi. Non ho abbandonato la speranza che un giorno o l’altro ci ritroveremo, ma non sono proprio sicuro che accadra’.

Dipende anche dal fatto che la violenza sembra non avere piu’ limitazioni e in un modo o nell’altro e’ diventata parte della nostra vita quotidiana, come lo e’ in quella di Dave Robicheaux?

Si’, e’ cosi’. Dave spiega sempre che la violenza e’ l’ultimo rifugio degli emarginati, di chi non e’ organico a nessuna istituzione. In definitiva, e’ una forma di fallimento morale. E’ l’ultima risorsa degli intelligenti e dei coraggiosi. Guardate Dave: quando agisce in modo violento, di solito e’ in difesa di qualcun altro. E’ orribile dirlo, ma e’ una parte della vita umana e in America piu’ di ogni altro posto. Siamo nati da una rivoluzione violenta e siamo sempre stati in guerra fin da allora. Non siamo un popolo pacifico.

In un certo senso, sembra che la letteratura noir abbia preso il posto del romanzo sociale. Negli Stati Uniti come in Francia, in Spagna, in Italia o in Sud America o in Svezia, molti scrittori usano il crimine per denunciare la corruzione, le connivenze politiche, gli abusi di potere e le ingiustizie sociali. Credi che la letteratura noir stia diventando una letteratura di critica sociale?

Siete assolutamente nel giusto. Ho provato ad usare i miei romanzi, che normalmente vengono definiti romanzi noir, nello stesso modo in cui James M. Cain, James T. Farrell e John Steinbeck scrivevano i loro.

Per concludere: quali sono i tuoi scrittori preferiti e come nasce un tuo romanzo?

Ernest Hemingway. John Cheever, William Faulkner, Tennesse Williams, Flannery O’Connor, Graham Greene, ma mi e’ piaciuto moltissimo anche “Mystic River” di Dennis, Lehane, un libro che e’ un capolavoro. Ho imparato da loro: una scena alla volta, una volta al giorno. Non so mai da che parte andra’ la storia o come finira’. Venitemi a trovare, che ne parliamo con calma, ma nel frattempo state belli allegri, tenete accordate le chitarre e non perdete di vista tutti quei vecchi rhythm and blues.

a cura di Marco Denti e Mauro Zambellini

   Nato a Houston (Texas), il 5 dicembre del 1936, James Lee Burke è uno degli scrittori più noti e apprezzati degli Stati Uniti. Nato e cresciuto durante gli anni della grande depressione, seguita al crollo di Wall Street, la stessa descritta impietosamente da John Steinbeck, “Jim” Burke era figlio di un ingegnere che lavorava in Louisiana nel settore delle condutture petrolifere e del gas. Ha frequentato la Southwestern Louisiana Institute e si è laureato in scrittura creativa all’università del Missouri. Il suo primo impiego, però, l’ha ottenuto nella stessa grande azienda in cui lavorava suo padre (scomparso nel 1954), vale a dire la Houston Pipeline. Qui, lavorando sugli oleodotti texani, ha scritto il suo primo libro, Half of Paradise e si è sposato, prima di ottenere un incarico come insegnante alla Southwestern University nel 1960. La vita “professionale” di Jim in questo periodo è molto.. varia. Si trasferisce in Colorado a lavorare come custode di tenute agrarie, poi si sposta a Los Angeles, nel famigerato Skid Row (il quartiere più violento di South Central). Qui lavora come assistente sociale (“l’esperienza che più mi ha insegnato a vivere”) mentre contemporaneamente sua moglie Pearl insegna alla Manual Arts High School, che a quel tempo era definita “la peggior scuola d’America”. Lasciata la California, i signori Burke continuano il loro peregrinare e Jim prende un incarico come insegnante presso il Servizio Forestale: finisce a insegnare nei posti più sperduti degli Stati Uniti, tra cui presso le comunità disperse nelle Cumberland mountains del Kentucky, dove la gente vive “in uno stato primitivo”, senza luce e acqua corrente e vestendosi con “sacchi adattati come fossero vestiti”. Proprio in quel momento gli giunge una proposta di insegnamento all’Università del Montana.  E’ il 1966 e la vita di Jim e Pearl inizia ad assestarsi mentre la carriera di scrittore ancora non decolla: “uno dei miei libri, The lost get back boogie, viene rifiutato da 111 editori nell’arco di nove anni”. Le cose cambiano, d’improvviso, con Black cherry blues, che nel 90 si aggiudica l’ambitissimo Edgar Award, il più importante premio mondiale dedicato al “mystery”, definizione ambigua che comunque identifica il romanzo giallo-thriller (e anche questa è una definizione ambigua…).  Da quel punto la carriera di Jim (che intanto ha festeggiato i 54 anni) è esplosiva: rivince l’Edgar nel 98 con Cimarron rose e altri premi letterari con Sunset limited, Purple Cane Road, Jolie Blon Bounce e Pegasus Descending. La sua migliore creazione, Dave Robicheaux, detective fallito che vive sul bajou, diviene un classico della letteratura contemporanea, solo per convenzione rinchiuso nel recinto della definizione “giallo”, mentre il suo secondo personaggio, Billy Bob Holland, pur avendo meno successo – e forse riuscendo meno “completo” di Robicheaux – si ritaglia comunque una fetta di attenzione tra i lettori dei cinque continenti. Il successo di Jim e dei suoi libri si consolida anche attraverso l’attenzione del cinema, che porta in scena Heaven’s prisoners (con Alec Baldwin e Kelly Lynch), Two for Texas (un film per la tv con Kris Kristofferson nella parte di Hugh Allison) e In the electric mist with the confederate dead (in lavorazione, con la regia di Bernard Tavernier e Tommy Lee Jones nei panni di Dave Robicheaux).