Eccolo: è arrivato. L’URLO DEL VENTO è in libreria. La cover è decisamente simile a quella dell’originale Tin roof blowdown e più in generale delle edizioni Simon & Schuster, le originali americane, compreso il lettering – sparatissimo – del nome dell’autore, . Il libro è di gran formato e di 448 pagine. E’ un nuovo capitoo della vita terrena di Dave Robicheaux, questa volta alle prese con la scomparsa del suo amico d’infanzia Jude LeBlanc, diventato prete e “scomparso” durante i giorni tragici di Katrina.
Una curiosità: all’occhio attento non può sfuggire che la cover italiana ha un trombonista che spinge sui bassi, mentre la cover americana ha un sassofonista nel bel mezzo di un altissimo…

BYE BYE BURKE…..

febbraio 15, 2008

Avevamo scritto “me lo tengo stretto”, ma non è andata esattamente così. “Beh, certo che mi dispiace perderlo, era il nome su cui avevo puntato di più…….” Marco Vicentini me lo dice senza troppi fronzoli: la perdita di Burke da parte della scuderia di Meridiano Zero è di quelle che “fan soffrire”. “Per fortuna che ho ancora un suo ottimo titolo in uscita: Prima che l’uragano arrivi sarà un successone, ne son convinto, come è vero che tutti gli ultimi suoi titoli han visto un progressivo aumento dei suoi lettori”. Il testimone sarà poi raccolto da Fanucci Editore, che probabilmnte si troverà a gestire anche il “dopo” dell’uscita sugli schermi di In the electric mist, il film di Tavernier con Tommy Lee Jones nei panni di Dave Robicheaux. Come farà Meridiano zero a “elaborare il lutto”? “Diciamo che continueremo a lavorare con tranquillità, cercando di puntare su pochi titoli di alta qualità, senza farci prendere dall’ansia del mercato, proseguendo in fin dei conti sulla strada che abbiamo battuto sino ad ora”. Siamo davanti a un piatto di pasta (lui arrabbiata, io frutti di mare), in un pranzo veneto piuttosto freddo. Il nuovo libro di Burke sarà nelle librerie tra pochi giorni (“diciamo subito dopo il 20 febbraio….”). Perché avete scelto questo titolo? Marco sorride tra un boccone e l’altro e alza il baffetto padano: “Le pagine finali del romanzo evocano l’uragano Katrina che incombe su New Orleans e sul bajou, così ci è sembrato interessante suggerire questo cataclisma in arrivo, che pare un analogo naturale del cataclisma umano raccontato dalla storia stessa. Non ci è sembrato forzato evitare il richiamo al Pegaso del titolo originale”. Ma chissà se a lui, all’editore, questo nuovo libro è piaciuto, lui che per esperienza e frequentazione linguistica i libri li legge direttamente nella lingua originaria…. “Mi è piaciuto, molto, davvero. Sicuramente uno dei migliori di JLB”. Un ultima cosa, prima di salutarci: la tua miglior freccia nell’arco del post-Burke? “Un libro di un italiano”, confessa Marco Vicentini, “Acqua storta di R.L.Carrino, un libro duro e non convenzionale sul mondo della camorra. Una vera sorpresa……”. Ci fidiamo…….

  Nel numero del Buscadero di ottobre c’è una bellissima intervista a James Lee Burke. Opera di Marco Denti e Mauro Zambellini. E’ uscita con il titolo di Louisiana Rain. La pubblichiamo ringraziando Marco, Mauro e Paolo Caru (editore del Buscadero) per la disponibilità.

Le storie di James Lee Burke sono come il buon vecchio rock’n’roll: sai come funziona, ma non sai mai come andra’ a finire. Tutto e’ cominciato con “Pioggia al neon” che inaugurava, giusto vent’anni fa, la saga di Dave Robicheaux, uno dei nostri loser preferiti, un personaggio che guarda dalla Louisiana un mondo in rovina, ma con l’attitudine e un disincanto che non e’ disillusione. Come direbbe uno dei suoi (e nostri) scrittori preferiti, Hemingway: e’ un mondo di merda, ma e’ l’unico che abbiamo. Dave Robicheaux lotta cosi’, senza sosta, spesso oltre i confini del suo mandato e della sua morale e non lo fa con l’alone del giustiziere, del crociato o del vendicatore ma soltanto perche’ non ha alternativa. O combatte, o soccombe alla corruzione, all’ipocrisia, alla falsita’, in definitiva all’inquinamento della vita come della natura, che poi sono la stessa cosa. Abbiamo imparato a conoscere le sue gesta sotto la “Pioggia al neon”, e poi in “Sunset Limited”, “La ballata di Jolie Blon”, “Ultima corsa per Elysian Fields” e “Ti ricordi di Ida Durbin?” (tutti tradotti e e pubblicati in Italia da Meridiano Zero) riconoscendo in Dave Robicheaux uno di noi e in James Lee Burke un grande storyteller che magari non trovera’ mai quattro righe nelle enciclopedie di letteratura e ancora meno un posto all’accademia. Forse e’ meglio cosi’: nonostante l’odore salmastro delle paludi, i serpenti mocassini, le “muddy waters”, i fantasmi e gli spiriti, l’aria del bayou resta sempre la piu’ pulita.

“Pioggia al neon” e’ stato il primo romanzo della saga di Dave Robicheaux. In prospettiva, guardando a ritroso tutti gli episodi, che impressione ti fa? Cosa provi per Dave Robicheaux, dopo vent’anni?

Credo che Dave Robicheaux sia cresciuto come personaggio. Ogni romanzo e’ stato inteso per essere una storia indipendente, ognuno di loro legato ad un differente contesto sociale e politico. In effetti, per rispondervi, credo che Dave sia piu’ che altro un testimone di molti dei piu’ importanti eventi della nostra epoca.

Ti identifichi ancora in lui?

Si’, direi di si’, in un certo senso. Usando la prima persona e’ piu’ facile sentire la voce dentro di te: il personaggio e’ sempre dentro l’autore, credo. La sfida non e’ lasciar dominare la storia dall’ego del personaggio, ma creare dei personaggi che possano entrare senza problemi nella casa dei lettori.

Uno dei motivi per cui i tuoi romanzi ci sono cosi’ famigliari e’ che fin da “Pioggia al neon”, ma poi in ognuna delle storie di Dave Robicheaux, la musica e’ sempre stata un elemento fondamentale nei tuoi romanzi.

Si’, assolutamente, la musica e’ al centro di qualsiasi cosa io scriva. L’italiano e’ probabilmente il linguaggio piu’ musicale dell’intera famiglia umana, ma l’inglese cade dentro un beat naturale che in un certo senso e’ musicale quanto l’italiano. In piu’ il blues e il jazz e il rock ‘n’ roll sono le piu’ nitide forme d’arte americane e penso che ogni buon scrittore americano ad un certo punto prova ad incorporare queste tradizioni nel suo lavoro. Quando lo faccio penso sempre alla Carter Family, a Woody Guthrie, a Leadbelly, a Kid Orey e a Benny Goodman che credo siano i musicisti piu’ importanti nella nostra cultura.

La connessione con la musica e’ ancora piu’ particolareggiata perche’ la Louisiana e’ un territorio dove la musica ha un ruolo storico fondamentale e cio’ diventa evidente nei tuoi romanzi. Dal tuo punto di vista, e’ perche’ non si puo’ separare la musica dalla Louisiana, e viceversa?

Si’, nella mia testa musica e Louisiana sono sinonimi. La Louisiana ci ha dato i migliori musicisti di jazz e di rhythm and blues, la tradizione afroamericana comincia e finisce qui. Come dicevano Danny and the Juniors molto tempo fa: “We don’t care what people say, rock’n’roll is here to stay”.

Volendo essere piu’ precisi?

Uhm, direi che semplicemente chi scrive dell’America blue-collar o del Southeast dovrebbe necessariamente scrivere della musica della gente, anche perche’ molti dei miti americani vengono proprio da qui. Un antropologo, credo nel 1958 o 1959, disse che gli americani erano rimasti affascinati da Elvis perche’ aveva tutte le caratteristiche di un dio greco. Era un personaggio mitico, ma nello stesso tempo rappresentava tutto il mistero del Sud. Era un ragazzo da Tupelo, Mississippi e la sua storia ha riempito i sogni di ogni persona della working class in questo paese, ma nello stesso tempo e’ finita tragicamente. La sua vita, ma anche quella di Carl Perkins, Roy Orbison o Jerry Lee Lewis sono icone culturali americane, riempite di musica, e religione, e poverta’ e disperazione.

Tra le citazioni che spiccano, bisogna ricordare almeno “The Things That I Used To Do” di Guitar Slim in “La ballata di Jolie Blon”.

Il blues, per la gente di colore, significa un assoluto e irrisolto senso di perdita. Molti vecchi bluesmen che ho conosciuto credevano che il blues fosse la musica del diavolo perche’ aveva a che fare con il mondo dei juke joints, delle droghe, della prostituzione. Per quella ragione, qualcuno di loro, dopo aver scoperto la religione, non ha voluto cantare piu’ il blues. Non sono assolutamente d’accordo con le loro conclusioni teologiche sul blues, ma capisco il terribile legame che li turba. Il miglior esempio, non c’e’ dubbio, e’ Robert Johnson.

Spiriti e fantasmi non sono un’eccezione nei tuoi romanzi. Perche’?

Credo che questo mondo sia un’estensione di un mondo che non vediamo. La mia idea della creazione e’ la stessa di Emerson o Plotino, credo. Siamo sempre dentro l’eternita’, solo che non l’abbiamo ancora capito.

E’ anche un legame con gli elementi naturali, in fondo, a cui dedichi molto spazio.

Come scrittore, sono stato influenzato pesantemente dai naturalisti, di conseguenza il paesaggio, spesso e volentieri, e’ quasi il protagonista delle mie storie. D’altro canto penso che stiamo distruggendo la terra. Sfortunatamente questo paese e’ controllato dai leader dell’industria petrolchimica e fino a quando non cambiaremo il nostro modo di vivere, qui come in Cina o in India, la situazione puo’ solo peggiorare.

Non dobbiamo andare molto lontano per trovare una conferma alle tue parole. Katrina ha cambiato la faccia e la vita di New Orleans. E’ ancora possibile raccontare un noir dopo quello che e’ successo o la corruzione contro cui combatteva Dave Robicheaux e’ nulla rispetto al noir del disastro?

Direi che e’ ancora piu’ necessario. Il mio nuovo romanzo, “The Tin Roof Blowdown”, e’ legato agli eventi di Katrina e tutto cio’ che ne e’ seguito. Spero che sia un ritratto accurato degli eventi che si sono susseguiti a New Orleans in quel periodo perche’ la vicenda di Katrina rimane forse il peggior scandalo nella storia del nostro paese. Quello che e’ successo ha mostrato un livello di cinismo e di indifferenza che probabimente sara’ una fonte inesauribile di disgusto per il resto della nostra storia.

Questo ricorda un po’ Dave Robicheaux che spesso sembra combattere una guerra che non potra’ mai vincere e mantiene un’attitudine tra malinconia e indifferenza perche’, alla fine, sembra che non cambi mai nulla, che la stessa gente continui a comandare, spesso in modo stupido e arrogante. E’ lo stesso feeling che aveve provato durante i due mandati dell’amministrazione Bush?

Quello che prova Dave e’ che la battaglia non e’ mai finita, il terreno non sara’ mai nostro e l’era Bush e’ uno di quei momenti in cui non si riesce a vivere con dignita’. Siamo stati terribilmente sminuiti agli occhi del mondo e, quello che e’ peggio, abbiamo perso la visione di noi stessi. Non ho abbandonato la speranza che un giorno o l’altro ci ritroveremo, ma non sono proprio sicuro che accadra’.

Dipende anche dal fatto che la violenza sembra non avere piu’ limitazioni e in un modo o nell’altro e’ diventata parte della nostra vita quotidiana, come lo e’ in quella di Dave Robicheaux?

Si’, e’ cosi’. Dave spiega sempre che la violenza e’ l’ultimo rifugio degli emarginati, di chi non e’ organico a nessuna istituzione. In definitiva, e’ una forma di fallimento morale. E’ l’ultima risorsa degli intelligenti e dei coraggiosi. Guardate Dave: quando agisce in modo violento, di solito e’ in difesa di qualcun altro. E’ orribile dirlo, ma e’ una parte della vita umana e in America piu’ di ogni altro posto. Siamo nati da una rivoluzione violenta e siamo sempre stati in guerra fin da allora. Non siamo un popolo pacifico.

In un certo senso, sembra che la letteratura noir abbia preso il posto del romanzo sociale. Negli Stati Uniti come in Francia, in Spagna, in Italia o in Sud America o in Svezia, molti scrittori usano il crimine per denunciare la corruzione, le connivenze politiche, gli abusi di potere e le ingiustizie sociali. Credi che la letteratura noir stia diventando una letteratura di critica sociale?

Siete assolutamente nel giusto. Ho provato ad usare i miei romanzi, che normalmente vengono definiti romanzi noir, nello stesso modo in cui James M. Cain, James T. Farrell e John Steinbeck scrivevano i loro.

Per concludere: quali sono i tuoi scrittori preferiti e come nasce un tuo romanzo?

Ernest Hemingway. John Cheever, William Faulkner, Tennesse Williams, Flannery O’Connor, Graham Greene, ma mi e’ piaciuto moltissimo anche “Mystic River” di Dennis, Lehane, un libro che e’ un capolavoro. Ho imparato da loro: una scena alla volta, una volta al giorno. Non so mai da che parte andra’ la storia o come finira’. Venitemi a trovare, che ne parliamo con calma, ma nel frattempo state belli allegri, tenete accordate le chitarre e non perdete di vista tutti quei vecchi rhythm and blues.

a cura di Marco Denti e Mauro Zambellini

Avevo avuto la sensazione che ci fosse una particolarissima relazione tra le ultime cose scritte da James Lee Burke e l’ultimo disco di Mary Gauthier, cantautrice di New Orleans. L’avevo scritto alcuni giorni fa. Era una sensazione, nulla più. Poi sono riuscito a intervistarla e… la verità ha confermato la sensazione. Ecco cosa mi ha risposto:

WG – Personalmente sento nelle tue canzoni grandi collegamenti con una certa letteratura. Una canzone come Cant’ find way home mi ricorda un recente racconto di James Lee Burke, Jesus out to the sea. In altri momenti mi viene in mente Flannery O’Connor o Faulkner…
Mary Gauthier – Guarda, ho appena terminato di leggere l’ultimo libro di Burke, Tin roof blow down e ho la sua raccolta di racconti Jesus out to the sea. Sono una sua vera fan. Sono anche stata nella casa di Flannery O’Connor e sono anche innamorata della sua letteratura. In effetti questi due scrittori mi hanno influenzato profondamente, più di qualsiasi altro. 
 

Fa piacere trovare due figli della Louisiana così in sintonia. Per chi vuol leggere l’intervista completa, questa è l’url: http://www.risonanza.net/?p=82. E lasciate pure i vostri commenti….

   New Orleans, 
l’uragano Katrina, Jim Burke e Mary Gauthier. Quali sono i nessi? Eccoli, dannatamente semplici. JLBurke ha legato la sua vita a New Orleans e a New Iberia. Mary – cantante – è nata e cresciuta tra New Orleans e altre parti (spesso non belle) della Louisiana. Entrambi hanno dedicato qualcosa di molto particolare alla distruzione operata dall’uragano Katrina ai danni della loro città. Per Burke si tratta di un racconto, Jesus out to the sea (ne abbiamo già parlato…). Per Mary si tratta di una canzone, Cant’ find way home, compresa nel suo ultimo e bellissimo Between daylight and dark (per saperne di più sul disco: www.risonanza.net) . La canzone narra il dramma di chi – come Mary – ha guardato in tivù la marea dell’acqua che distruggeva la sua città, il suo quartiere, la sua casa, senza poter “tornare a casa”….  Jim e Mary, lontani, probabilmente nemmeno si conoscono, eppure così drammaticamente vicini nel modo di sentire, di raccontare, di scrivere o cantare….

Can’t find way home (MARY GAUTHIER)

This is not my street
This is not my house
That is not my bed
This is not my town
Another day another night
Another night another day
I wanna go home
I can’t find the way
The levee broke the water came
Went all the way up to my roof
I crawled up there and cried
What else could I could do?
Another day another night
Another night another day
I wanna go home
I can’t find the way
A boat brought me to I-10
I sat there three days, maybe four
Thousands stranded on the interstate
Every hour boats brought more
Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way
With nothing but our dreams
And memories of who we’ve been
Scattered forth like seeds
At the mercy of the wind
Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way

Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way