Non sono morto, ho solo avuto parecchio da fare. L’incipit è necessario, visto che molti mi hanno scritto chiedendo dove ero finito. Occupato a salvare quella parte di mondo nella quale sono abitualmente impegnato ho messo un attimo in secondo piano le mie web-elucubrazioni: that’s all. Ritorno con la prima novità dell’era Fanucci: il primo libro di JLBurke edito dalla casa editrice romana uscirà il 28 maggio. Il titolo è: L’URLO DEL VENTO. Un salutone alla grande esperienza i Meridiano Zero, quindi, e un benvenuto ai nuovi editori. Sperando che tutto proceda per il megio e che la visibilità del grande Jim possa migliorare…

 Come giustamente mi fa notare Stefano in un suo post (thanks), “la traduzione di Pegasus era impossibile da prevedere”. Ma quale è questo benedetto titolo? Eccolo qui: PRIMA CHE L’URAGANO ARRIVI, con tanto di cover già presente sul sito di Meridiano Zero tra i libri prossimamente in uscita (http://www.meridianozero.it/pea/index.htm). Prometto due cose a chi segue questo sito (ma chi lo segue? Fatevi conoscere, visto che dai report vedo che ci siete……): 1 – Jim mi ha promesso una breve nota sul libro: la pubblicherò nei prossimi giorni; 2 – anche Marco Vicentini di Meridiano Zero mi racconterà qualcosa sull’edizione, e quindi ne parleremo con lui.  Per ora bastino due righe, prese da Publisher weekly: “Enriched by the presence of the resourceful yet flawed Dave Robicheaux—probably the most fascinating protagonist in contemporary crime fiction—as well as complex characterizations, luminous prose, and profound observations of human nature at its best and worst, James Lee Burke’s new novel may be his very best.” La definizione di Dave Robicheaux come il protagonista più affascinante della conemporanea letteratura noir e di questo libro come “forse la migliore” di Burke, sono allettanti anticipi del libro. Che sarà in libreria da febbraio….

 

L’ho “preso” mentre stava facendo le valigie. “Ci stiamo spostando da Missoula a New Iberia, come facciamo ogni anno”, è il suo commento. Valigie e nipoti, cavalli e ranch, famiglia e libri da scrivere: questa è la vita di James Lee Burke. Intervistarlo è una cosa divertente e illuminante al tempo stesso. Divertente perché è un concentrato di risposte brevi ma esaurienti, dette con tutta la semplicità di questo mondo. Illuminante perché Jim apre lo sguardo su un mondo insolito per uno scrittore, un mondo umano-molto umano. L’intervista è lunga. Ho deciso di “spezzarla in due o forse anche in tre”, così si legge meglio. Buona lettura.

WALTER GATTI – Buon giorno Jim. Dimmi una cosa, tanto per iniziare: hai mai avuto dubbi sulla tua vocazione di essere uno scrittore?
JAMES LEE BURKE – Ti dirò un cosa, Walter, per tutta la mia vita ho solo desiderato essere uno scrittore e nient’altro. Così ora sono completamente felice per l’opportunità che ho avuto di realizzare quel desiderio. E vivo in un posto che mi aiuta a farlo con serenità
 WG – Nei tuoi libri i “luoghi” hanno un’importanza particolare, non sono solo “il palcoscenico”…
JLB – Credo di utilizzare i luoghi, gli ambienti, le situazioni come protagoniste delle mie storie, non solo come apparato scenografico. Fortunatamente ho vissuto in molti luoghi interessanti, luoghi come il Texas, New Orleans, i bayou, l’interno della Louisiana, l’Arizona, che penso i lettori possano apprezzare.  
WG – Hai dedicato ai giorni dell’uragano su New Orleans uno dei tuoi ultimi racconti. Cosa rimane ora di Katrina?
JLB – Credo che Katrina rimarrà per sempre uno dei peggiori scandali della nostra storia nazionale. Non farmi aggiungere altro…. 

WG – Mi descrivi il tuo metodo di lavoro e di scrittura?
JLB – Scrivo ogni giorno, non ho mai un giorno vuoto o di vacanza completa. Scrivo nel bel mezzo della notte, alla mattina e nel pomeriggio. Mi sforzo di raggiungere le mille parole al giorno, ma sono soddisfatto se ne stendo 750 di qualità. 

WG – Ti piace entrare in contatto con i tuoi lettori? Che tipo di rapporto hai con i critici?
JLB – Non sono un uomo che vive isolato al mondo e nemmeno una persona che vive per i riflettori. Apprezzo avere un contatto diretto con i miei lettori, sono persone intelligenti. Uno scrittore ha sempre una relazione speciale con i suoi lettori. Mi chiedi poi del mio rapporto con i critici: lo giudico soddisfacente. Direi che è sempre stato buono (si mette a ridere), con alcune eccezioni… 

WG – Dovendo inquadrare la tua opera nello scenario più complessivo della letteratura americana, mi viene da associarti a Flannery O’Connor e a Faulkner. Questi autori ti hanno influenzato?
JLB: Assolutamente sì. Come scrittore devo dire L’urlo e il furore mi ha influenzato con il suo stile più di ogni altro libro. Non vorrei dimenticare poi un’altra grande autrice, Willa Cather… 

WG – Tu e tua moglie Pearl vivete insieme come una coppia tenace. Quanto è stata importante lei per il tuo lavoro?
JLB –  Nel prossimo gennaio io e Pearl festeggeremo I 48 anni di matrimonio. Lei è rimasta il mio editore, il mio migliore amico e il mio co-pilota attraverso tutti questi anni. 

WG – Vivete nel Montana da tanti anni ormai. Come vi trovate a Missoula?
JLB – Il Montana è il luogo della terra più vicino al paradiso… 

WG – Nostalgia della Louisiana?
JLB – Si, un po’ si, ma ci ritorniamo per una certa parte dell’anno. Amo quella terra, ma oggi la Louisiana sta vivendo un terribile stress culturale, economico e ambientale.

………………….. END PART 1

Non volendo attendere le calende greche, mi sono procurato una copia americana di Jesus out to the sea, edizioni Simon and Schuster. Ne valeva la pena. Sono undici racconti, 240 pagine, scritti da James Lee Burke in un arco temporale che va dal 1992 (Winter light, pubblicato in Epoch) al 2007 (l’ultimo racconto ad aver visto la luce è Mist, uscito su The southern review). Non faccio finta di conoscere l’inglese meglio di quanto lo conosca, ciò vuol dire che molte cose mi sfuggono, però mi sono goduto per quanto mi è possibile questa lettura, soprattutto sapendo che questi racconti non sono ancora in circolazione. Chissà se Marco Vicentini pensa di editarlo in italiano (Marco: dacci qualche lume….). Racconti di bambini e di violenze (The molester), di santità (Texas city 1947), di jazz e di rock’n’roll (bellissimo The day Johnny Ace died). Il racconto che titola la raccolta è stupendo. Nelle ore immediatamente successive Katrina e la grande inondazione di New Orleans, il protagonista, su una barca insieme al suo amico Miles, ripensa agli anni in cui era bambino. Cresceva con Miles e suo fratello Tony, imparando ad apprezzare il jazz prima di diventare un buon musicista. Poi il Vietnam e le gang si erano portate via l’innocenza dei tre amici, di cui uno – Tony – è probabilmente morto in uno scontro tra corrieri della cocaina in Sudamerica. Ora l’uragano e l’indifferenza degli States si stavano portando via anche la loro città. L’unica cosa che rimane, alla fine del racconto, è un Cristo di legno, portato dalla marea, per le strade di New Orleans. Le ultime righe del racconto sembrano un quadro oppure una scena da un film neorealista. “Galleggia di fianco a noi il grande Crocifisso di legno, divelto dalla chiesa che c’è in fondo alla mia strada. E’ sulla sua schiena, le braccia spalancate, le onde che scivolano sulla sua pelle. I buchi nelle sue mani sembrano petali di bouganvillea sulle pareti di una chiesa. Gli chiedo cosa è successo. Lui mi guarda a lungo, come se fossi veramente duro a capire. “Ah, si, ho capito cosa intendi. E’ esattamente quello che pensavo”, gli dico, non volendo mostrare quanto sono tonto. Ma considerando la compagnia con cui mi sono ritrovato – Gesù e Miles e Tony che ci attende da qualche parte – credo di non aver nessun problema con il mondo”. Aggiungo solo una cosa: leggo i libri di Burke con grande rispetto verso l’opera di un uomo e di uno scrittore, che ha una grande onestà intellettuale e umana. Questi racconti mi colpiscono per la densità del loro ritrarre. Per la presenza insopprimibile di una cosa eterna: la pietà. Nelle tredici pagine del racconto che titola il tutto, scorrono vite intere rilette alle luce della grande distruzione, lasciando una parola finale alla speranza. Che spettacolo….. 

TWO FOR TEXAS

novembre 6, 2007

 Uscito nel 1982 negli Usa e nel 2004 in Italia, Two for Texas è stato il quarto titolo di JLB. Non ha ancora “creato” Dave Robicheaux e si immerge in un affresco storico-popolare. La vicenda è quella di Son Holland e di Hugh Allison, due evasi da un penitenziario nei pressi di Baton Rouge. Siamo nel 1835. Sulle tracce dei due si mette Emile Landry, il sadico guardiano dei prigionieri, e li seguirà per una peregrinazione lunga mesi, che passa dagli accampamenti delle tribù tonkawa, dai saloon e dai bordelli del basso Texas, fino a concludersi in un fatto storico, vale a dire la battaglia di San Jacinto, il 21 aprile 1936. Sam e Hugh si sono arruolati nell’esercito di Sam Houston, mentre Landry è finito tra le fila dei messicani invasori del generale Antonio Lopez de Santa Anna. Gli ultimi tre capitoli del libro sono un ritratto storico stupendo, con i soldati di Houston che avanzano al grido (autentico) di  “ricordatevi di Goliad, ricordatevi di Alamo” (sia il massacro di Goliad, 34o prigionieri texani massacrati gratuitamente, che Alamo erano appena avvenuti nel mese di marzo), mentre Son e Hugh combattono per lo stato della stella solitaria, per la propria sopravvivenza e per scovare ed eliminare per sempre Laundry. Il romanzo storico (che in Europa ha visto Walter Scott, Alessandro Manzoni e Victor Hugo come maestri assoluti) non aveva ancora dato negli States frutti maturi: forse Two for Texas è tra i primissimi esempi “compiuti”. Un’ultima aggiunta, un “particolare”. Son Holland è antenato di Billy Bob Holland, che vedrà la luce solo qualche anno più tardi in Terra violenta (Cimarron Rose)….

  Nel numero del Buscadero di ottobre c’è una bellissima intervista a James Lee Burke. Opera di Marco Denti e Mauro Zambellini. E’ uscita con il titolo di Louisiana Rain. La pubblichiamo ringraziando Marco, Mauro e Paolo Caru (editore del Buscadero) per la disponibilità.

Le storie di James Lee Burke sono come il buon vecchio rock’n’roll: sai come funziona, ma non sai mai come andra’ a finire. Tutto e’ cominciato con “Pioggia al neon” che inaugurava, giusto vent’anni fa, la saga di Dave Robicheaux, uno dei nostri loser preferiti, un personaggio che guarda dalla Louisiana un mondo in rovina, ma con l’attitudine e un disincanto che non e’ disillusione. Come direbbe uno dei suoi (e nostri) scrittori preferiti, Hemingway: e’ un mondo di merda, ma e’ l’unico che abbiamo. Dave Robicheaux lotta cosi’, senza sosta, spesso oltre i confini del suo mandato e della sua morale e non lo fa con l’alone del giustiziere, del crociato o del vendicatore ma soltanto perche’ non ha alternativa. O combatte, o soccombe alla corruzione, all’ipocrisia, alla falsita’, in definitiva all’inquinamento della vita come della natura, che poi sono la stessa cosa. Abbiamo imparato a conoscere le sue gesta sotto la “Pioggia al neon”, e poi in “Sunset Limited”, “La ballata di Jolie Blon”, “Ultima corsa per Elysian Fields” e “Ti ricordi di Ida Durbin?” (tutti tradotti e e pubblicati in Italia da Meridiano Zero) riconoscendo in Dave Robicheaux uno di noi e in James Lee Burke un grande storyteller che magari non trovera’ mai quattro righe nelle enciclopedie di letteratura e ancora meno un posto all’accademia. Forse e’ meglio cosi’: nonostante l’odore salmastro delle paludi, i serpenti mocassini, le “muddy waters”, i fantasmi e gli spiriti, l’aria del bayou resta sempre la piu’ pulita.

“Pioggia al neon” e’ stato il primo romanzo della saga di Dave Robicheaux. In prospettiva, guardando a ritroso tutti gli episodi, che impressione ti fa? Cosa provi per Dave Robicheaux, dopo vent’anni?

Credo che Dave Robicheaux sia cresciuto come personaggio. Ogni romanzo e’ stato inteso per essere una storia indipendente, ognuno di loro legato ad un differente contesto sociale e politico. In effetti, per rispondervi, credo che Dave sia piu’ che altro un testimone di molti dei piu’ importanti eventi della nostra epoca.

Ti identifichi ancora in lui?

Si’, direi di si’, in un certo senso. Usando la prima persona e’ piu’ facile sentire la voce dentro di te: il personaggio e’ sempre dentro l’autore, credo. La sfida non e’ lasciar dominare la storia dall’ego del personaggio, ma creare dei personaggi che possano entrare senza problemi nella casa dei lettori.

Uno dei motivi per cui i tuoi romanzi ci sono cosi’ famigliari e’ che fin da “Pioggia al neon”, ma poi in ognuna delle storie di Dave Robicheaux, la musica e’ sempre stata un elemento fondamentale nei tuoi romanzi.

Si’, assolutamente, la musica e’ al centro di qualsiasi cosa io scriva. L’italiano e’ probabilmente il linguaggio piu’ musicale dell’intera famiglia umana, ma l’inglese cade dentro un beat naturale che in un certo senso e’ musicale quanto l’italiano. In piu’ il blues e il jazz e il rock ‘n’ roll sono le piu’ nitide forme d’arte americane e penso che ogni buon scrittore americano ad un certo punto prova ad incorporare queste tradizioni nel suo lavoro. Quando lo faccio penso sempre alla Carter Family, a Woody Guthrie, a Leadbelly, a Kid Orey e a Benny Goodman che credo siano i musicisti piu’ importanti nella nostra cultura.

La connessione con la musica e’ ancora piu’ particolareggiata perche’ la Louisiana e’ un territorio dove la musica ha un ruolo storico fondamentale e cio’ diventa evidente nei tuoi romanzi. Dal tuo punto di vista, e’ perche’ non si puo’ separare la musica dalla Louisiana, e viceversa?

Si’, nella mia testa musica e Louisiana sono sinonimi. La Louisiana ci ha dato i migliori musicisti di jazz e di rhythm and blues, la tradizione afroamericana comincia e finisce qui. Come dicevano Danny and the Juniors molto tempo fa: “We don’t care what people say, rock’n’roll is here to stay”.

Volendo essere piu’ precisi?

Uhm, direi che semplicemente chi scrive dell’America blue-collar o del Southeast dovrebbe necessariamente scrivere della musica della gente, anche perche’ molti dei miti americani vengono proprio da qui. Un antropologo, credo nel 1958 o 1959, disse che gli americani erano rimasti affascinati da Elvis perche’ aveva tutte le caratteristiche di un dio greco. Era un personaggio mitico, ma nello stesso tempo rappresentava tutto il mistero del Sud. Era un ragazzo da Tupelo, Mississippi e la sua storia ha riempito i sogni di ogni persona della working class in questo paese, ma nello stesso tempo e’ finita tragicamente. La sua vita, ma anche quella di Carl Perkins, Roy Orbison o Jerry Lee Lewis sono icone culturali americane, riempite di musica, e religione, e poverta’ e disperazione.

Tra le citazioni che spiccano, bisogna ricordare almeno “The Things That I Used To Do” di Guitar Slim in “La ballata di Jolie Blon”.

Il blues, per la gente di colore, significa un assoluto e irrisolto senso di perdita. Molti vecchi bluesmen che ho conosciuto credevano che il blues fosse la musica del diavolo perche’ aveva a che fare con il mondo dei juke joints, delle droghe, della prostituzione. Per quella ragione, qualcuno di loro, dopo aver scoperto la religione, non ha voluto cantare piu’ il blues. Non sono assolutamente d’accordo con le loro conclusioni teologiche sul blues, ma capisco il terribile legame che li turba. Il miglior esempio, non c’e’ dubbio, e’ Robert Johnson.

Spiriti e fantasmi non sono un’eccezione nei tuoi romanzi. Perche’?

Credo che questo mondo sia un’estensione di un mondo che non vediamo. La mia idea della creazione e’ la stessa di Emerson o Plotino, credo. Siamo sempre dentro l’eternita’, solo che non l’abbiamo ancora capito.

E’ anche un legame con gli elementi naturali, in fondo, a cui dedichi molto spazio.

Come scrittore, sono stato influenzato pesantemente dai naturalisti, di conseguenza il paesaggio, spesso e volentieri, e’ quasi il protagonista delle mie storie. D’altro canto penso che stiamo distruggendo la terra. Sfortunatamente questo paese e’ controllato dai leader dell’industria petrolchimica e fino a quando non cambiaremo il nostro modo di vivere, qui come in Cina o in India, la situazione puo’ solo peggiorare.

Non dobbiamo andare molto lontano per trovare una conferma alle tue parole. Katrina ha cambiato la faccia e la vita di New Orleans. E’ ancora possibile raccontare un noir dopo quello che e’ successo o la corruzione contro cui combatteva Dave Robicheaux e’ nulla rispetto al noir del disastro?

Direi che e’ ancora piu’ necessario. Il mio nuovo romanzo, “The Tin Roof Blowdown”, e’ legato agli eventi di Katrina e tutto cio’ che ne e’ seguito. Spero che sia un ritratto accurato degli eventi che si sono susseguiti a New Orleans in quel periodo perche’ la vicenda di Katrina rimane forse il peggior scandalo nella storia del nostro paese. Quello che e’ successo ha mostrato un livello di cinismo e di indifferenza che probabimente sara’ una fonte inesauribile di disgusto per il resto della nostra storia.

Questo ricorda un po’ Dave Robicheaux che spesso sembra combattere una guerra che non potra’ mai vincere e mantiene un’attitudine tra malinconia e indifferenza perche’, alla fine, sembra che non cambi mai nulla, che la stessa gente continui a comandare, spesso in modo stupido e arrogante. E’ lo stesso feeling che aveve provato durante i due mandati dell’amministrazione Bush?

Quello che prova Dave e’ che la battaglia non e’ mai finita, il terreno non sara’ mai nostro e l’era Bush e’ uno di quei momenti in cui non si riesce a vivere con dignita’. Siamo stati terribilmente sminuiti agli occhi del mondo e, quello che e’ peggio, abbiamo perso la visione di noi stessi. Non ho abbandonato la speranza che un giorno o l’altro ci ritroveremo, ma non sono proprio sicuro che accadra’.

Dipende anche dal fatto che la violenza sembra non avere piu’ limitazioni e in un modo o nell’altro e’ diventata parte della nostra vita quotidiana, come lo e’ in quella di Dave Robicheaux?

Si’, e’ cosi’. Dave spiega sempre che la violenza e’ l’ultimo rifugio degli emarginati, di chi non e’ organico a nessuna istituzione. In definitiva, e’ una forma di fallimento morale. E’ l’ultima risorsa degli intelligenti e dei coraggiosi. Guardate Dave: quando agisce in modo violento, di solito e’ in difesa di qualcun altro. E’ orribile dirlo, ma e’ una parte della vita umana e in America piu’ di ogni altro posto. Siamo nati da una rivoluzione violenta e siamo sempre stati in guerra fin da allora. Non siamo un popolo pacifico.

In un certo senso, sembra che la letteratura noir abbia preso il posto del romanzo sociale. Negli Stati Uniti come in Francia, in Spagna, in Italia o in Sud America o in Svezia, molti scrittori usano il crimine per denunciare la corruzione, le connivenze politiche, gli abusi di potere e le ingiustizie sociali. Credi che la letteratura noir stia diventando una letteratura di critica sociale?

Siete assolutamente nel giusto. Ho provato ad usare i miei romanzi, che normalmente vengono definiti romanzi noir, nello stesso modo in cui James M. Cain, James T. Farrell e John Steinbeck scrivevano i loro.

Per concludere: quali sono i tuoi scrittori preferiti e come nasce un tuo romanzo?

Ernest Hemingway. John Cheever, William Faulkner, Tennesse Williams, Flannery O’Connor, Graham Greene, ma mi e’ piaciuto moltissimo anche “Mystic River” di Dennis, Lehane, un libro che e’ un capolavoro. Ho imparato da loro: una scena alla volta, una volta al giorno. Non so mai da che parte andra’ la storia o come finira’. Venitemi a trovare, che ne parliamo con calma, ma nel frattempo state belli allegri, tenete accordate le chitarre e non perdete di vista tutti quei vecchi rhythm and blues.

a cura di Marco Denti e Mauro Zambellini

   New Orleans, 
l’uragano Katrina, Jim Burke e Mary Gauthier. Quali sono i nessi? Eccoli, dannatamente semplici. JLBurke ha legato la sua vita a New Orleans e a New Iberia. Mary – cantante – è nata e cresciuta tra New Orleans e altre parti (spesso non belle) della Louisiana. Entrambi hanno dedicato qualcosa di molto particolare alla distruzione operata dall’uragano Katrina ai danni della loro città. Per Burke si tratta di un racconto, Jesus out to the sea (ne abbiamo già parlato…). Per Mary si tratta di una canzone, Cant’ find way home, compresa nel suo ultimo e bellissimo Between daylight and dark (per saperne di più sul disco: www.risonanza.net) . La canzone narra il dramma di chi – come Mary – ha guardato in tivù la marea dell’acqua che distruggeva la sua città, il suo quartiere, la sua casa, senza poter “tornare a casa”….  Jim e Mary, lontani, probabilmente nemmeno si conoscono, eppure così drammaticamente vicini nel modo di sentire, di raccontare, di scrivere o cantare….

Can’t find way home (MARY GAUTHIER)

This is not my street
This is not my house
That is not my bed
This is not my town
Another day another night
Another night another day
I wanna go home
I can’t find the way
The levee broke the water came
Went all the way up to my roof
I crawled up there and cried
What else could I could do?
Another day another night
Another night another day
I wanna go home
I can’t find the way
A boat brought me to I-10
I sat there three days, maybe four
Thousands stranded on the interstate
Every hour boats brought more
Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way
With nothing but our dreams
And memories of who we’ve been
Scattered forth like seeds
At the mercy of the wind
Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way

Another day another night
Another night another day
We wanna go home
We can’t find the way

marco4.JPG   Ha “preso il testimone” da marchi più consolidati e ne ha fatto uno dei punti fermi della sua proposta editoriale. Stiamo parlando di Marco Vicentini (nella foto), editore di Meridiano Zero, che da qualche anno ha portato sotto la sua protezione il nome di James Lee Burke, precedentemente in mano a Gialli Mondadori e Baldini e Castoldi. Abbiamo parlato con Vicentini del presente e del futuro dei libri di Jim in Italia. E l’abbiamo trovato ben convinto a “tenerselo stretto”. L’intervista è “iniziata” a tavola (informalmente) ed è finita in un semplice scambio di mail (formalmente). Ecco le risposte…

Walter Gatti – Meridiano Zero è ormai il “marchio” italiano di James Lee Burke. Come è accaduto che un “piccolo” riuscisse a conquistare un nome già pubblicato dai “grandi”?

Marco Vicentini –  In un certo senso per l’entusiasmo che ho mostrato per Burke come scrittore a tutto tondo, e non come scrittore di genere, come lo vedono gli altri editori. Io amo moltissimo e vorre pubblicare anche i libri di Burke che non fanno parte della serie di Robicheaux. Infatti il primo che ho pubblicato e’ stato Two for Texas.WG – Hai appena pubblicato Pioggia al neon. Quali sono i programmi editoriali di Meridiano Zero sui titoli della bibliografia di JLB?Vorrei proseguire a pubblicare alternatamente tutti i titoli della serie di Dave Robicheaux, una novità e una riedizione – con nuove traduzioni, se necessario – per poi passare agli altri.

WG – Avremo la possibilità di leggere titoli “minori”, come le raccolte di racconti o gli altri volumi “non-Robicheaux”?

Certamente. Come ho detto vorrei pubblicare “tutta” l’opera di Burke.

WG – Ci puoi dire – a grandi linee – i numeri dei lettori “amanti di Burke” o comunque “amanti di Robicheaux”, vale a dire il “quanti siamo”?

MV – Non ne ho la minima idea. Su questo forse mi potrai aiutare tu con il sito. Un sito dedicato a Jim dovrebbe diventare un punto di riferimento per tutti i suoi lettori “fedeli” e quindi consentire di avere un’idea del numero.

WG – Paura che un domani un editore “più importante” ti porti via il gioiello?

MV – Un passo alla volta: per ora penso a far crescere il piu’ possibile Burke in Italia e non vado a pensare a futuri possibili…

WG  – Le tue passioni letterarie: svelaci chi sono gli scrittori che ami di più…

MV – L’elenco è lungo e non è semplice. In breve: Cormac McCarthy, James Cain, Giancarlo De Cataldo, Phillip José Farmer, Ralph  Koenig e molti altri.

WG – Hai mai incontrato Jim? Cosa puoi raccontarci su di lui come persona?

MV – No, purtroppo non l’ho mai incontrato, anche perche’ bisognerebbe andarlo a trovare nel Montana. Una prospettiva affascinante, ma non semplice da realizzare…

WG – Nessun piano per portare Jim in Italia?

MV – Mi piacerebbe molto. Mi sono mosso varie volte e in italia ci sarebbero molti festival letterari che sarebbero felici di averlo ospite, ma lui declina sempre. Non si muove molto volentieri…   

 Concluso la Bookfest di Missoula, ecco (come avevamo promesso) un report della presenza di Jim. Ce lo invia la gentilissima Kim Anderson (thank you KIM, you are wonderful…..), una delle reponsabili di Humanities Montana, l’ente per il sostegno delle arti dell’Università del Montana: “Il festival è terminato sabato notte. James Lee Burke è un amico fantastico per tutti noi del Montana Festival of Book, ed è nostro ospite fin dall’anno della sua prima edizione, il 2000. Quest’anno ha partecipato al panel di  sabato 15, al pomeriggio, al Wilma Theatre. L’argomento della conversazione era “il racconto”, la short story. Mentre molti lettori non associano Burke a questa forma, in realtà lui è un vero maestro del genere e la sua recente raccolta Jesus out to the sea lo dimostra. Gli altri scrittori che partecipavano al dialogo erano Claire Davis, Rick DeMarinis e Ron Carlson. Sabato sera, poi, Jim è stato il l’autore che ha concluso il GalaReaders, iniziato alle 19.30 e proseguito sino a notte. Un must per i 500 presenti. Jim ha letto proprio il racconto Jesus out to the sea, una piece poderosa, di fronte a una platea assolutamente affascinata. Standing ovation finale. Una serata meravigliosa”. Non si stenta a credergli……………

   Nato a Houston (Texas), il 5 dicembre del 1936, James Lee Burke è uno degli scrittori più noti e apprezzati degli Stati Uniti. Nato e cresciuto durante gli anni della grande depressione, seguita al crollo di Wall Street, la stessa descritta impietosamente da John Steinbeck, “Jim” Burke era figlio di un ingegnere che lavorava in Louisiana nel settore delle condutture petrolifere e del gas. Ha frequentato la Southwestern Louisiana Institute e si è laureato in scrittura creativa all’università del Missouri. Il suo primo impiego, però, l’ha ottenuto nella stessa grande azienda in cui lavorava suo padre (scomparso nel 1954), vale a dire la Houston Pipeline. Qui, lavorando sugli oleodotti texani, ha scritto il suo primo libro, Half of Paradise e si è sposato, prima di ottenere un incarico come insegnante alla Southwestern University nel 1960. La vita “professionale” di Jim in questo periodo è molto.. varia. Si trasferisce in Colorado a lavorare come custode di tenute agrarie, poi si sposta a Los Angeles, nel famigerato Skid Row (il quartiere più violento di South Central). Qui lavora come assistente sociale (“l’esperienza che più mi ha insegnato a vivere”) mentre contemporaneamente sua moglie Pearl insegna alla Manual Arts High School, che a quel tempo era definita “la peggior scuola d’America”. Lasciata la California, i signori Burke continuano il loro peregrinare e Jim prende un incarico come insegnante presso il Servizio Forestale: finisce a insegnare nei posti più sperduti degli Stati Uniti, tra cui presso le comunità disperse nelle Cumberland mountains del Kentucky, dove la gente vive “in uno stato primitivo”, senza luce e acqua corrente e vestendosi con “sacchi adattati come fossero vestiti”. Proprio in quel momento gli giunge una proposta di insegnamento all’Università del Montana.  E’ il 1966 e la vita di Jim e Pearl inizia ad assestarsi mentre la carriera di scrittore ancora non decolla: “uno dei miei libri, The lost get back boogie, viene rifiutato da 111 editori nell’arco di nove anni”. Le cose cambiano, d’improvviso, con Black cherry blues, che nel 90 si aggiudica l’ambitissimo Edgar Award, il più importante premio mondiale dedicato al “mystery”, definizione ambigua che comunque identifica il romanzo giallo-thriller (e anche questa è una definizione ambigua…).  Da quel punto la carriera di Jim (che intanto ha festeggiato i 54 anni) è esplosiva: rivince l’Edgar nel 98 con Cimarron rose e altri premi letterari con Sunset limited, Purple Cane Road, Jolie Blon Bounce e Pegasus Descending. La sua migliore creazione, Dave Robicheaux, detective fallito che vive sul bajou, diviene un classico della letteratura contemporanea, solo per convenzione rinchiuso nel recinto della definizione “giallo”, mentre il suo secondo personaggio, Billy Bob Holland, pur avendo meno successo – e forse riuscendo meno “completo” di Robicheaux – si ritaglia comunque una fetta di attenzione tra i lettori dei cinque continenti. Il successo di Jim e dei suoi libri si consolida anche attraverso l’attenzione del cinema, che porta in scena Heaven’s prisoners (con Alec Baldwin e Kelly Lynch), Two for Texas (un film per la tv con Kris Kristofferson nella parte di Hugh Allison) e In the electric mist with the confederate dead (in lavorazione, con la regia di Bernard Tavernier e Tommy Lee Jones nei panni di Dave Robicheaux).