IN THE MOON OF RED PONIES

gennaio 14, 2008

 Nel 2004 Burke da alle stampe In the moon of red ponies. Me ne sono procurato una copia dell’edizione 2005 della britannica Orion Book, che riporta in cover le recensioni della stampa inglese, tra cui quella entusiasta dell’Evening standard, che ne parla come “dell’opera più ambiziosa di tutta la bibliografia di Burke. Il libro non solo è il lavoro più complesso di JLB, ma anche senza dubbio il suo più bel romanzo”. Non entro nel merito dell’eventuale classifica, ma di certo il libro affascina e colpisce. Premetto che non ho un inglese così mostruoso da leggere un libro in lingua e da coglierne profondità e sfumature, ma anche per un fruitore medio dell’inglese-scritto le 385 pagine di In the moon sono un bel gioco di “perdizioni e redenzioni”, come ha scritto l’importante Literary review. Il romanzo non è un’avventura di Robicheaux, bensì l’ultima (in ordine di tempo) vicenda di Billy Bob Holland, avvocato texano, che ha trasferito via e professione in quel di Missoula, che poi è la cittadina dove vive attualmente il nostro caro Burke. Il libro inizia proprio da qui: “Il mio ufficio di avvocato era situato nella vecchia piazza del tribunale di Missoula, Montana”. Protagonisti della vicenda sono il pellerossa e decorato di guerra per l’operazione Desert Storm Johnny American Horse, il cowboy da rodeo Wyatt Dixon, uomo di rara perversione naturale. La vicenda di Dixon si intreccia con la vicenda familiare di Holland perché anni prima il simpatico cowboy ha mezzo bruciato viva la moglie di Holland, Temple, una detective dai mezzi piuttosto sbrigativi. Le vie della giustizia si concentrano verso Johnny e Wyatt per futivili motivi, ignorando che stanno per scoperchiare un vaso di Pandora. Quando l’irreparabile è già accaduto, la violenza esplode da parte di Karsten Mabus, potente boss delle terre del Montana e soprattutto trafficante di sostanze chimiche verso mezzo mondo, Saddam Hussein compreso; la violenza coinvolge Billy Bob, ma si concentra verso Darrel McComb, detective testardo di Missoula. Il finale – anticipo l’epilogo senza nulla togliere alla storia – vede Bily Bob e Temple in felice attesa di un figlio, sereni, ma anche certi duna tragica verità: “Il mio più grave peccato è stata la presunzione che la violenza, in questo caso il tentativo di assassinare Marsten Mabus, può cambiare la storia in meglio”. Uno sguardo morale, biblico – con tanto di richiamo al San Pietro che sguaina la spada sul Getsemani – sulla storia.